Sempre più spesso sentiamo parlare di nomadi digitali, nasce quindi spontanea la curiosità di sapere chi sono e che lavoro fanno. Chi può seguire le orme di Brian Chesky, CEO di AirBNB che ha fatto la scelta di lasciare casa e di diventare un nomade digitale?
Il nomade digitale è quel professionista che svolge la propria attività da remoto e che sceglie liberamente il posto in cui lavorare, senza quindi avere l’obbligo di vivere in una determinata città né di doversi recare in uno specifico ufficio.
Una professione che spesso è stata fraintesa perché, per qualcuno, il nomade digitale era colui che voleva fare “la bella vita” e che voleva lavorare poco mentre il nomadismo rappresenta la soluzione ideale per tutti quei professionisti che vogliono decidere dove e come svolgere il proprio lavoro.
Nei primi anni ‘90 con la nascita dei primi siti web, con cui era possibile reperire informazioni con il solo accesso ad internet, si aprirono nuove possibilità fino a quel momento sconosciute. Ma fu solo nel 1997 che venne coniato per la prima volta il termine “Digital Nomads”, titolo del libro di Tsugio Makimoto e David Manners, i quali, come dei profeti, parlarono di nuove opportunità di lavoro ed intuirono che, grazie alle nuove tecnologie, le persone potessero studiare o svolgere la propria attività, anche andando in giro per il mondo.
Agli inizi degli anni 2000 ci fu infine la definitiva esplosione, quando alcune compagnie informatiche crearono le prime piattaforme di freelance, assumendo sviluppatori da remoto, una decisione questa che ha aiutato ad incrementare anche l’utilizzo delle piattaforme di videoconferenza e la nascita dei social media.
I due anni di pandemia e la necessità dello smart working sono stati solo l’ultima spinta a questo processo.
Chi sono i nomadi digitali?
I nomadi digitali sono professionisti che, facendo leva sul proprio desiderio di indipendenza e di mobilità, utilizzano le tecnologie digitali per conquistarsi la libertà di poter vivere e lavorare nei luoghi diversi del mondo, ognuno seguendo le proprie motivazioni, ambizioni ed esigenze personali”.
Questo non significa che non lavorano ma semplicemente che possono decidere dove e come farlo.
Fino a non molto tempo fa, la figura del nomade digitale veniva associata ad uno stile di vita avventuroso, in cui il lavoro rappresentava soltanto una parte marginale e la sua immagine era quindi legata ad una serie di stereotipi, tra cui quello che considerava il nomadismo una realtà riservata ai giovani dallo spirito libero.
Pur non essendo possibile quantificare con esattezza il numero di nomadi digitali presenti nel mondo, mettendo a confronto alcuni sondaggi e macro statistiche, nel 2021 sono state stimate circa 35.000.000 persone di varie nazionalità che si definivano tali, divisi quasi equamente tra maschi e femmine.
Quasi l’80% di loro ha una discendenza europea mentre la percentuale restante viene divisa tra latino/ispanici (10%), asiatici (8%) e africani (6%). La maggior parte di loro proviene dagli Stati Uniti, che costituiscono il 31% dei nomadi digitali di tutto il mondo, seguono poi Portogallo, Germania e Brasile.
L’età media di queste persone è di circa 40 anni, anche se più della metà degli intervistati ha affermato di aver iniziato a viaggiare intorno ai 20 e di vivere e lavorare come un nomade digitale dopo i 30. Tutti gli intervistati hanno però affermato che è impossibile vivere come un nomade per tutta la vita, per cui la media degli anni passati in viaggio si attesta intorno ai 6 anni.
In Italia, secondo un rapporto realizzato dall’Associazione Italiana Nomadi Digitali, un ente che punta a promuovere il nomadismo digitale e ad incentivare la cultura del lavoro da remoto nel nostro Paese, il 64% sono uomini o donne di un’età compresa tra i 30 e i 49 mentre il 27% ha più di 50 anni. Gli under 30 sono meno del 10%, smentendo così il luogo comune che identifica i nomadi digitali con i giovani che girano il mondo con zaino spalla.
Se volessimo creare un identikit del nomade digitale, potremmo parlare di una persona che desidera avere uno stile di vita diverso da quello tradizionale, non legato ad una singola città e ad un ufficio. Un essere umano che abbraccia una filosofia dove il modus vivendi è quello che consente di lavorare e allo stesso tempo di viaggiare con l’obiettivo di scoprire nuovi posti, conoscere nuove persone ed abbracciare abitudini e costumi diversi, migliorando la qualità della propria vita e determinando un senso di libertà e di benessere che si traduce in una migliore e maggiore produttività lavorativa.
Quali lavori fanno i nomadi digitali
Non tutti i lavori permettono di vivere come dei nomadi digitali, è fondamentale che non prevedano una sede fissa e che possano essere svolti da remoto. Per poter lavorare come un nomade digitale, una persona deve possedere alcune caratteristiche specifiche come la padronanza delle tecnologie informatiche, dell’informazione, della comunicazione e della collaborazione.
Stilare un elenco completo di professioni sarebbe molto lungo, diciamo che possono essere considerati nomadi digitali tutte quelle persone che esercitano un’attività che, per sussistere, necessita esclusivamente di un pc e di una connessione ad internet.
Le macro categorie di lavoro che più comunemente possono essere svolte in forma nomade sono il blogger, il social media management, software developer, la content creation, e-commerce management, il digital marketing manager e web designer.
Volendo passare in rassegna le professionalità che si adattano meglio al nomadismo digitale, quella più gettonata è sicuramente la figura del travel blogger, il cui candidato ideale è un appassionato di viaggi che decide di raccontare le sue esperienze in un blog, diventando così un influencer e conseguentemente una risorsa importante per un qualsiasi tour operator, agenzia di viaggi o ente turistico ed un collaboratore a cui commissionare specifiche mete di viaggio.
Un altro lavoro che può essere svolto facilmente da un nomade digitale è quello del copywriter che, pur lavorando per aziende o per privati come dipendente o collaboratore freelance, ha la facoltà di scegliere in piena autonomia il posto in cui svolgere la sua attività.
Un’altra professione ancora che può essere gestita agevolmente in modalità nomade e che attualmente è anche una delle figure più richieste dalle aziende è quella del digital marketer, ossia di un professionista che si occupa di promuovere on line prodotti e servizi.
Altri lavori completamente compatibili con uno stile di vita nomade sono quella del traduttore che può effettuare traduzioni scritte da una lingua all’altra anche a distanza, oppure del programmatore che, come creatore di siti web, ha bisogno solo di un computer e di una linea internet.
Infine un’altra attività che si sposa perfettamente con la filosofia di vita e lavorativa del nomadismo digitale è quella del graphic designer che, realizzando banner e locandine pubblicitarie, loghi ed ogni altro tipo di contenuto grafico destinato al web, ha la possibilità di svolgere il proprio lavoro in qualunque parte del mondo per clienti che anche loro si possono trovare in un qualsiasi luogo del pianeta.
Come si diventa nomade digitale?
Prima di approfondire quali sono le competenze essenziali per poter intraprendere uno stile lavorativo così diverso, è necessario mettere in chiaro che, per diventare un nomade digitale, è fondamentale possedere uno sconfinato amore per i viaggi ed un grande desiderio di libertà, autonomia e di voler esprimere liberamente la propria creatività, senza vincoli di uffici ed orari. Partendo dal presupposto che il nomade digitale non è necessariamente un giovane spensierato, questo stile lavorativo non migliora solo la qualità della vita delle persone che lo intraprendono ma offre benefici anche alle aziende che, contattando figure simili, hanno la possibilità di collaborare con i più qualificati professionisti, in qualunque parte del mondo si trovino.
La categoria dei nomadi digitali non identifica un particolare ambito professionale, né tanto meno un target specifico di persone: chiunque, senza distinzioni di età o di sesso, può scegliere il nomadismo.
Un altro luogo comune da sfatare è quello che riguarda la condizione economica dell’aspirante nomade: non bisogna essere per forza dei benestanti per lavorare in un altro Paese o in un’altra città: ognuno è libero di scegliere quei luoghi dove esiste un buon rapporto tra il costo e la qualità della vita.
In tal senso l’Associazione Nomadi Digitali ha stilato un elenco di quali sono le località migliori per lavorare da remoto, con Melburne al primo posto, seguita sul podio da Dubai e Sydney. Nella stessa classifica nei primi posti troviamo anche delle città europee come Londra, Glasgow e Berlino mentre per vedere delle città italiane, Roma e Bari, dobbiamo scorrere l’elenco fino al 62° e al 69° posto.
I nomadi digitali sono quelli che per antonomasia offrono il proprio tempo e le proprie competenze in cambio di uno stipendio e quindi, per entrare a far parte di questo mondo, il primo passo da compiere è quello di determinare il proprio talento e quanto questa competenza possa essere utile a dei potenziali clienti. Una volta individuato, bisogna frequentare dei corsi e fare delle esperienze, in modo da arricchire il proprio curriculum ma soprattutto è necessario perfezionare l’inglese, imparandone anche il linguaggio tecnico, magari allenandosi a condurre trattative telematiche con persone di cultura differente.
Perché, se per un lavoratore “normale” è importante conoscere l’inglese, per un nomade digitale è la lingua che più gli permette di aprirsi al mercato internazionale e gli spalanca le porte del mondo. Per quanto riguarda infine lo stipendio, visto che si tratta di una modalità lavorativa che può essere applicata a degli ambiti professionali molto estesi, è impossibile quantificarlo in maniera precisa.
Può dipendere da una serie di fattori come il settore operativo, le capacità personali, le competenze tecnico-professionali che più sono specifiche e maggiori saranno i guadagni: ci sono professionisti che riescono a percepire anche uno stipendio di 70.000 euro all’anno. Profitti che comunque sono soggetti a tassazione e che può essere di due tipi: italiana, anche se i guadagni sono stati prodotti in giro per il mondo oppure straniera, trasferendo la propria residenza fiscale all’estero, qualora l’intento fosse quello di rimanere fuori dall’Italia per un periodo maggiore di 183 giorni in un anno.
Brian Chesky, CEO di AirBNB è diventato un nomade digitale
Nel gennaio 2022 anche Brian Chesky è diventato un nomade digitale e lo ha reso noto, comunicando su Twitter che avrebbe vissuto tra Atlanta ed altre città, tornando solo ogni tanto a San Francisco dove abitava. Per i pochi che non lo conoscessero, Chesky è uno dei fondatori ed il CEO di AirBNB, il sito on line statunitense che mette in contatto persone che cercano un’abitazione o una stanza con proprietari di case che invece hanno uno spazio extra da affittare. Un’idea nata nel 2007 quando Brian condivideva il suo appartamento di San Francisco con l’amico Joe Gebbia e, non riuscendo a racimolare i soldi della pigione per l’intero mese, in occasione della conferenza della Industrial Designers Society of America per cui tutte le stanze d’albergo della città erano occupate, decisero di acquistare 3 materassi ad aria ed iniziarono ad affittarli agli ospiti.
Ne è passata acqua sotto i ponti ed oggi AirBNB non è più un fenomeno solo americano ma è quel portale dove milioni di persone nel mondo hanno creato un proprio account gratuito per scoprire gli angoli più remoti del nostro pianeta e le varie culture ed è soprattutto il sito dove, per cercare un alloggio, si ritrovano tutti quelli che fanno del nomadismo digitale uno stile di vita. Secondo le loro statistiche, quanto mai attendibili, il flusso dei nomadi nel mondo ha avuto una forte impennata tra il 2020 al 2021, periodo in cui la percentuale degli utenti che hanno prenotato soggiorni a lungo termine è passata dal 9% al 12%.
Un anno in cui il 50% delle notti prenotate nel terzo trimestre del 2021 ha riguardato soggiorni di almeno sette giorni, rispetto al 44% del 2019 e il tempo dove, da settembre 2020 allo stesso mese del 2021, più di 100.000 ospiti hanno prenotato soggiorni di almeno 90 giorni. La consistenza di questi numeri ci fa capire quanto, in tempo di pandemia, sia stato in evoluzione ed espansione il mondo dei nomadi digitali: un modo di vivere abbracciato nel 2021 dall’8,4% degli italiani, rispetto al 5,7% dei francesi e al 7,8% dei tedeschi. Ancora dei numeri piccoli che però stanno crescendo a dismisura, se si contano tutte quelle persone che questa filosofia di vita la sognano ad occhi aperti: il 64% degli italiani, infatti, vorrebbe partire per quei Paesi dove è più facile viaggiare e dove la natura è più incontaminata o dove, più semplicemente, si possa abitare in un alloggio con un’ampia finestra affacciata su uno splendido panorama.