In questo articolo dedicato alla finanza islamica, vorrei parlarti di come si struttura, quali sono le particolarità del sistema bancario musulmano, quali le differenze con la banca occidentale, se è possibile che ci possa essere un’integrazione tra il sistema bancario islamico e occidentale e quali sono le criticità riscontrate per tale integrazione.
Come sappiamo, il libro sacro del Corano rappresenta il codice di condotta per la vita di ogni musulmano, tra i quali anche i principi ispiratori dell’economia e della finanza.
Possiamo definire come finanza islamica l’insieme degli istituti giuridici, strumenti finanziari ed imprese che devono essere conformi ai dettami e alle tradizioni della Shari’ah, la legge sacra islamica.
Nel mondo musulmano il sistema bancario nacque verso la fine del XIX° secolo, come alternativa alle principali banche dei paesi occidentali che cominciavano ad aprire filiali nelle città più grandi dei paesi colonizzati.
La gran parte della popolazione era però sostanzialmente estranea a questo mondo, in quanto gli istituti di credito erano situati per lo più nelle capitali, lasciando sfornite le zone periferiche e rurali.
Un’altra motivazione importante fu la diffidenza del popolo rispetto alle attività finanziarie delle banche che appartenevano ai paesi colonizzatori ed infine un ultimo motivo ma per molti il più importante, che nella religione islamica è vietato il ricorso agli strumenti finanziari così come sono pianificati dai paesi occidentali.
Per ovviare a tali problemi, vennero costituite delle banche locali la cui diffusione attirò l’attenzione degli intellettuali musulmani, che iniziarono a fornire le prime regole per un sistema bancario islamico aderente ai dettami del Corano. Con l’istituzione, nel 1963, della Cassa di Risparmio di Mit Ghamr, villaggio egiziano sul delta del Nilo, nasce la finanza islamica moderna.
Fondata sul modello delle banche cooperative europee dall’economista egiziano Ahmad al-Najjar, ebbe un enorme successo perché era una sintesi tra il pensiero occidentale e le tradizioni contadine arabe.
La prerogativa di questa banca era che sia i risparmiatori che gli investitori ne erano soci e condividevano i risultati, così come imposto dall’etica musulmana, mentre un consiglio di sorveglianza religioso, la Sharia board vigilava sul suo operato.
Questa banca fu chiusa però nel 1968 dal governo centrale egiziano che non la vedeva di buon occhio.
Nel 1975, i ministri delle finanze di alcuni paesi arabi, per promuovere lo sviluppo socio economico di tutte le comunità musulmane, crearono a Jedda in Arabia Saudita l’Islamic Development Bank, Idb, e negli stessi anni fu realizzata anche la prima banca islamica privata, la Dubai Islamic Bank, che insieme a quelle nate in altri Paesi come la Malesia, Filippine, Bahrain, Egitto e Sudan, hanno decretato il definitivo sviluppo della finanza islamica.
La differenza tra finanza islamica e finanza tradizionale
Per comprendere la finanza islamica è necessario approfondire le differenze principali con quella tradizionale.
Una prima differenza sostanziale è che la finanza islamica si basa su principi etico-religiosi mentre quella occidentale ha un’origine laica e si affida al libero mercato.
Sappiamo bene come tutta la vita nell’Islam deve seguire le ferree regole del Corano tra ciò che è consentito, halal, e ciò che non lo è, haram.
Anche la finanza, che rappresenta l’insieme delle strutture organizzative, transazioni, contratti finanziari non può fare eccezione e deve essere conforme ai dettami della legge islamica.
Nel codice di condotta, il Corano riconosce la possibilità di concludere accordi tra soggetti e la libertà nell’attività negoziale e imprenditoriale ma gli pone dei limiti, stabilendo degli obblighi da rispettare come previsto nella sharia, la legge religiosa musulmana.
La differenza tra le due finanze sta proprio in queste limitazioni che vengono poste in quella musulmana.
Un primo divieto è quello del “pagamento di qualsiasi forma di interesse, RIBA, legato al fattore temporale, frutto di una semplice rendita finanziaria non correlata ad un’attività reale con un determinato livello di rischio”. Questo divieto nasce dalla volontà di voler prevenire ogni forma di sfruttamento e di voler realizzare per tutti una condizione di equità e giustizia economico-sociale.
La legge islamica vieta l’usanza di determinare a priori un incremento su un capitale prestato e lo giustifica solo per il tempo che intercorre tra quando viene concesso e quando viene restituito. Il denaro viene considerato solo come un mezzo di scambio e può generare valore non per se stesso ma per essere impiegato in un processo produttivo o in una transazione, quindi non potendo essere considerato un fine, quando viene lasciato su un conto corrente per essere accumulato, viene tassato pesantemente.
Questo precetto sulla moneta ha influenzato alcuni ambiti dell’attività bancaria che non può generare profitti e quindi non ci può essere nessuna remunerazione del capitale prestato.
Il credito al consumo, i mutui ipotecari e immobiliari vengono considerati, dal diritto islamico, come impieghi “legittimi” del denaro ma non consentono al creditore di guadagnare nella forma di un semplice profitto ed è per questo che i prestiti vengono inseriti negli investimenti produttivi, che sono gli unici a poter essere remunerati.
Connessi a questa proibizione del tasso di interesse, ci sono i principi della condivisione del rischio e del rendimento di impresa, per cui una banca partecipa alle perdite nel caso in cui conceda un investimento ad un imprenditore che abbia un’impresa in deficit, nel caso contrario invece partecipa agli utili e non riceve solo la quota del tasso di interesse.
In questo senso, un istituto di credito non ha più il rapporto con un suo cliente di creditore-debitore ma diventa a tutti gli effetti un azionista che partecipa alla vita dell’impresa e ne condivide utili e perdite, investendo nelle varie forme dei contratti.
Un altro divieto molto importante è quello che presuppone un Gharar, ossia un’incertezza o un rischio, quindi nella finanza islamica si possono stipulare solo contratti che prevedono certezza sia se si riferisce all’oggetto del contratto sia ai suoi elementi sostanziali come il prezzo o l’oggetto di vendita.
Un altro divieto della finanza islamica è quello di speculazione, la cosiddetta maysir, che viene equiparato al concetto di scommessa, espressamente vietato dalla legge. Non sono ammessi investimenti speculativi come per esempio prestare denaro a persone fisiche o giuridiche che praticano la leva finanziaria, il carry trade, l’utilizzo di derivati e di altre forme di speculazione come l’arbitraggio.
Le coperture assicurative sono permesse solo in caso di condivisione di rischio. Un esempio pratico di questo divieto sono i fondi di investimento islamici che per statuto non ammettono tutte quelle società che hanno un rapporto superiore del 30% fra debiti e capitale sociale e che potrebbero, per ricevere profitti, far ricorso alla leva finanziaria.
Fanno parte degli haram, ossia delle attività economico-produttive non consentite dal Corano, quelle che prevedono la produzione e la distribuzione di gioco d’azzardo, armi, tabacco, alcol e pornografia.
Gli strumenti finanziari
L’osservanza delle regole in ambito bancario e finanziario, compresi quindi tutti gli strumenti finanziari della finanza islamica, deve sottostare allo Shari’ah Board, un organo di controllo finanziario indipendente, composto da ulama, ossia da esperti di legge islamica, lo Shari’ah Scholar, che ha l’incarico di vigilare sul rispetto dei precetti della Shari’ah e ha la facoltà di redimere eventuali controversie.
Abbiamo visto che, quando si parla di finanza islamica, si fa riferimento alla “sharia compliant”, ossia a quei prodotti, servizi e prassi finanziarie conformi al Corano e alle altre fonti del diritto islamico come gli Hadith, i detti del Profeta trasmessi prima oralmente e poi trascritti, la Sunna, ossia la tradizione dettata dal ricordo delle opere e dei comportamenti del profeta e dei suoi primi seguaci e infine il Fiqh, cioé la giurisprudenza islamica dettata dalla interpretazione dottrinale delle diverse scuole giuridiche.
Tutte le transazioni finanziarie devono sottostare a delle regole e non infrangere i divieti ma allo stesso tempo devono essere un incoraggiamento alla crescita della proprietà privata e permettere gli investimenti che prevedono un’equa redistribuzione della ricchezza in ambito lavorativo, anche se questo è riservato ai soli uomini.
Prodotti e servizi della finanza islamica sono abbastanza simili a quelli della tradizionale finanza occidentale e si possono classificare in 5 grandi categorie:
- Bond islamico (sukuk): è un’obbligazione che non prevede un tasso d’interesse, un titolo quindi che permette di entrare in un progetto di investimento anche immobiliare. E’ più corretto parlare di certificato che non di bond.
- Fondi comuni di investimento, nati negli anni ’80, presentano una scarsa trasparenza delle pratiche di gestione e pochezza di dati che rendono difficile un’analisi comparativa tra i vari portafogli ma soprattutto vengono gestiti da società che hanno sede in mercati differenti da quelli europei come Malesia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti o Kuwait, dove le regolamentazioni sulla gestione sono differenti l’una dall’altra e poco confrontabili.
- Azioni che devono sottostare ad alcune regole. Non è infatti possibile investire in azioni privilegiate quando, per gli azionisti il privilegio si riferisce ad un diritto di prelazione in sede di liquidazione della società o nel caso di distribuzione di dividendi. E’ possibile invece investire in azioni ordinarie solo se conformi ai principi del Corano in tutto il suo iter, dalla selezione dei titoli alla distribuzione dei dividendi, dove le transazioni devono essere lecite e alcune strategie d’investimento, come la vendita allo scoperto, non sono ammesse.
- Derivati possiedono tutte le caratteristiche maggiormente osteggiate dai principi della finanza islamica come il potenziale riconoscimento di un tasso d’interesse (ribà), l’incertezza spesso eccessiva (gharar), la propensione alla speculazione e quindi alla scommessa (maysir), e il profitto collegato ad una transazione che gravita intorno al solo scambio di denaro (assenza di asset reali oggetto della transazione). Nonostante tutte queste controindicazioni, il diritto islamico si sta adeguando ai tempi e sta piano piano accettando delle forme di copertura come strumento legittimo per la gestione del rischio che solitamente non prevede.
- Prodotti assicurativi, così come vengono intesi dalla finanza tradizionale, sono assolutamente vietati perché alcune loro caratteristiche sono contrarie al Corano, presentando tanti elementi illeciti come rendite, premi, tassi di interesse ma anche incertezza ed azzardo. L’unica assicurazione ammessa è il takaful, la cosiddetta mutua assistenza, dove è prevista una congiunta divisione del rischio in caso di perdita di uno dei suoi membri. I takaful più comuni sono i “family takaful” con cui si viene assicurati contro gli infortuni oppure si stipulano le assicurazioni sulla vita e i “general takaful” con cui si fornisce una copertura assicurativa alla proprietà ed alla responsabilità civile. Le società emittenti operano come quelle di gestione del risparmio che si occupano di fondi comuni d’investimento, il cui capitale però è rappresentato dall’insieme delle polizze. Queste sono alimentate dal pagamento dei premi e il loro ammontare, tolte le spese di gestione, viene reinvestito in parte in un fondo “comune” e in parte distribuito tra le società e gli assicurati, che, secondo percentuali definite in anticipo, non abbiano richiesto indennizzi durante l’anno. Nelle assicurazioni sulla vita, in caso di morte dell’assicurato, gli eredi ricevono l’intero capitale più la stessa parte degli utili spettante agli altri sottoscrittori del fondo. Infine ogni persona assicurata, al compimento del suo 60° anno di età può decidere se ottenere il rimborso del capitale versato oppure continuare ad investire.
Per quanto riguarda le tecniche di finanziamento della finanza islamica possono essere divise in due grandi categorie a seconda del grado di partecipazione al rischio:
- Profit-Loss Sharing: che è lo schema principale ed è legato alla condivisione del rischio derivante dalla transazione tra il finanziatore ed il finanziato. Nei PLS si distinguono il contratto di “Mudaraba” e “Musharaka”. Il primo è un contratto associativo misto, di lavoro e capitale che ha un duplice obiettivo: far fruttare il capitale ed assicurare finanziamenti alle imprese. In questo tipo di contratto la banca, che partecipa agli utili e alle perdite, aderisce ad un progetto realizzabile e, con una previsione di vendita favorevole, concede ad un’impresa il capitale mentre l’imprenditore partecipa allo stesso col suo lavoro, percependo i soli profitti ma senza essere remunerato per il proprio lavoro. Questi profitti verranno divisi tra le parti secondo contratto e, se non ce ne fossero, l’imprenditore restituirà i fondi ottenuti; nel caso invece si verificassero perdite, dovrà rimborsare la somma prestata, meno l’ammontare delle perdite. Nel contratto di Musharaka, spesso utilizzato per finanziare progetti di investimenti a lungo termine o di rilevo internazionale, viene costituita una società tra la banca e l’imprenditore che può essere aperta anche ad altri eventuali soci finanziatori che partecipano ai profitti e alle perdite, anche se non dovessero avere diritto di voto e di partecipazione alla gestione.
- Non Profit-Loss Sharing: in questa categoria rientrano tutte quelle tecniche di finanziamento che non si basano su un contratto di condivisione degli utili e delle perdite dell’operazione finanziata. Nella maggior parte dei casi le tecniche di non-PLS si avvalgono di meccanismi di scambio di beni e di servizi con l’applicazione di un mark-up sul prezzo di rivendita.
In Italia: nuove opportunità
Cerchiamo infine di approfondire se esiste una finanza islamica in Italia e quali sono le opportunità che può offrire.
Nonostante tutte le limitazioni che abbiamo potuto constatare, la finanza islamica sta attirando sempre più consensi nel mondo occidentale, tra cui anche in Europa, dove l’aumentare dei flussi migratori musulmani e l’internalizzazione sempre maggiore dei Mercati ha fatto accrescere la domanda di finanziamenti e l’interesse verso i prodotti finanziari conformi alla Sharia.
A supporto di questa crescente richiesta ci sono diversi motivi:
- presenza sempre maggiore in Europa di individui islamici con redditi cospicui.
- Crescita di alleanze commerciali e relazioni finanziarie con il Medio Oriente.
- Aumento della domanda per il prodotto finanziario sharia compliant per la sua somiglianza alla finanza sostenibile.
- Stima e conseguente appoggio dei governi europei al settore finanziario islamico.
- Bisogno di trovare ed utilizzare soluzioni finanziarie alternative, vista la poca stabilità dei Mercati.
Per questi motivi, molti operatori europei, all’interno delle loro strutture, gli islamic windows, anche se separate giuridicamente, stanno proponendo sharia compliant per aumentare il portafoglio dei prodotti offerti ed attrarre così una clientela maggiore e diversificata.
In tal senso sono da considerare i numeri molto elevati di questo fenomeno Islamic Banking, si parla infatti, solo in Italia, di una raccolta potenziale che nel 2015 si stimava intorno ai 4,5 miliardi di dollari con dei ricavi superiori a 150 mln, per una popolazione musulmana residente e già integrata nel tessuto socio-economico di 1,5 milioni di persone. Il tasso di crescita degli asset islamici viene valutato intorno al 10-15% l’anno e, negli ultimi, i ricavi dell’Islamic retail banking sono cresciuti del 44% circa; numeri importanti visto che parliamo di un mercato finanziario, come quello islamico, che rappresenta soltanto l’1% delle attività finanziarie mondiali.
L’Italia nella sinergia tra il sistema islamico e quello convenzionale è molto indietro rispetto ad altre grandi Nazioni europee: la Gran Bretagna, per esempio, grazie alle pregevoli doti degli operatori del settore finanziario e all’importante livello di internazionalizzazione del mercato finanziario inglese, ha conquistato le più importanti banche islamiche che offrono tutti i principali contratti di finanziamento per la numerosa popolazione musulmana residente. A Londra infatti si trova la islamic Bank of Britain, la prima banca islamica pura costituita nel vecchio continente, che ha puntato sull’economia inclusiva e sostenibile, rivolgendosi a tutta la comunità, musulmana e non. Le stesse banche tradizionali inglesi non sono state da meno e hanno creato dei prodotti e delle divisioni al loro interno dedicate.
Anche la Francia, come primo paese europeo in termini di musulmani residenti di cui la metà francesi a tutti gli effetti, ha avuto la necessità di proporre dei servizi finanziari, soprattutto nel settore immobiliare e la banca marocchina Chaabi ha lanciato il primo conto corrente conforme alla Sharia e un prodotto di finanziamento immobiliare; anche la banche francesi, come Societé Generale e BNP Paribas, offrono prodotti islamici basati sulla murabaha.
La Germania con il suo Governo invece, nonostante i cittadini musulmani, di origine turca e sotto i 50 anni, rappresentano il 4,4% della popolazione, non ha ancora avviato una vera e propria strategia di comunicazione ed espansione della finanza islamica che al momento è rivolta solo ai privati benestanti e ad investitori istituzionali.
Solo poche banche, come la Deutsche Bank e la Dresdner Bank, di loro iniziativa, hanno iniziato ad offrire prodotti e servizi islamici mentre la Commerzbank ha lanciato dei prodotti di investimento.
L’Italia, come accennato prima, non ha ancora sviluppato una idonea produzione e distribuzione di strumenti e servizi di finanza islamica. Nonostante importanti premesse come la posizione geografica favorevole, l’interesse sempre più crescente verso una finanza e dei prodotti sostenibili come quelli della sharia compliant e la necessità di dover soddisfare le aspettative di oltre 1,5 milioni di musulmani residenti non sono state ancora realizzate delle reali strategie per sviluppare concretamente questo settore.
Un’inclusione finanziaria di così tante persone del mondo islamico potrebbe rappresentare una spinta importante per realizzare nuovi investimenti nelle società industriali e finanziarie del nostro Paese oppure per raccogliere capitali nei paesi islamici da parte di intermediari italiani.
Anche se da un punto di vista legislativo, siamo fermi ad un disegno di legge presentato alla Camera nel maggio 2017 sul trattamento fiscale delle operazioni di finanza islamica, sembra ci sia quantomeno la volontà, una volta risolti i problemi di carattere normativo e fiscale, di regolamentare le principali tipologie di contratti conformi alla Sharia come il Murabaha, il Sukuk e il Ijarah.