Un argomento da sempre molto sentito è l’innalzamento del debito pubblico in Europa. Quali sono gli stati con maggiore debito e qual è il debito della Germania?
Per rispondere a questi quesiti parto con lo scrivere che il debito pubblico è quello che un qualsiasi Stato genera quando chiede in prestito del denaro per sovvenzionare le proprie attività, per garantire servizi ai cittadini, per sostenere i propri investimenti oppure per finanziare il proprio deficit.
Per poter pagare i lavori delle infrastrutture e della sanità oppure gli stipendi dei dipendenti statali e le pensioni, una Nazione spende denaro (spesa pubblica) e, quando non ne ha a sufficienza, lo deve chiedere in prestito ad altri soggetti a cui, oltre alla somma prestata, bisogna corrispondere anche degli interessi.
Gli strumenti finanziari che tutti gli Stati utilizzano per raccogliere questo denaro sono i Titoli di Stato, ossia delle obbligazioni a breve, media o lunga scadenza. Noi, in Italia, abbiamo i Buoni ordinari del Tesoro oppure i Certificati del Tesoro zero coupon, a breve scadenza mentre a media e a lunga scadenza ci sono i Buoni del Tesoro Poliennali e i Certificati Credito del Tesoro.
Uno Stato può contrarre debiti con soggetti interni ai propri confini oppure esterni quando arrivano da altre Nazioni. I creditori possono essere soggetti del settore finanziario come una banca od una compagnia assicurativa oppure privato come imprese e famiglie. Se sono esteri, solitamente si tratta di grandi banche internazionali, dei gestori di patrimoni oppure dei fondi pensioni non italiani.
Va ricordato che il debito pubblico può essere generato anche da Regioni, Province, Comuni o altri Enti pubblici locali che quindi emetteranno dei titoli di credito a rappresentanza del proprio debito.
Gli economisti redigono una classifica dei debiti, con l’obiettivo di calcolare la capacità teorica di ogni Stato di ripagare il debito contratto. L’ultima classifica mondiale aggiornata, formulata dalla International Monetary Fund (IMF), redatta sui dati del World Economic Outlook Report, è quella del 2021, in cui ha fortemente pesato la pandemia che ha portato tutti i Paesi a modificare le proprie strategie politiche ed economiche.
Per quanto riguarda il 2022 secondo i dati Eurostat, al termine dei primi 3 mesi il rapporto debito pubblico/PIL nell’area dell’euro si è stabilizzato al 95,6%, rispetto al 95,7% della fine del quarto trimestre del 2021, così come nell’UE è diminuito dall’88,1% all’87,8% rispetto all’ultimo trimestre dell’anno scorso. Sempre rispetto al quarto trimestre del 2021, c’è stato un aumento del rapporto debito/Pil in 8 Stati membri tra cui Francia (+1,9%), Italia (+1,8%), Cipro (+1,3%), Malta (+1,2 %), Austria (+1,1%) mentre una diminuzione è stata registrata in Grecia e Lituania (entrambe -4,0 %), Danimarca (-3,7 %), Croazia (-2,5 %), Irlanda e Bulgaria (entrambe -2,2%).
Gli Stati con il maggiore debito pubblico di questi primi 3 mesi sono stati Grecia (189,3%), Italia (152,6%), Portogallo (127%), Spagna (117%) e Francia (114,4%).
Il debito pubblico in Germania
Il debito pubblico in Germania, nel 2021, per effetto della pandemia è aumentato. Infatti sono stati stanziati 240,2 miliardi di euro di nuovo debito, un terzo in più di quanto inizialmente previsto a dicembre 2020.
A marzo dello stesso anno, alcune fonti ministeriali prevedevano che lo stesso trend si verificasse anche per il 2022 e stimavano 81,5 miliardi di euro di nuovi prestiti.
La conseguenza di ciò era che, per il terzo anno consecutivo, dovesse rimanere nel cassetto la regola del “freno all’indebitamento” la quale vieta espressamente che si possa prendere in prestito più dello 0,35% del pil ogni anno. Un rigore di bilancio quindi ancora una volta sospeso e il ritorno al pareggio spostato al 2023. Questa previsione del 2022, fatta l’anno scorso, è stata avvalorata da un’intervista rilasciata a maggio da Francesco Palermo, docente all’università di Verona e direttore dell’Istituto di studi federali dell’Eurac, l’Accademia europea con sede a Bolzano e da Jens Woelk, docente all’università di Trento che hanno affermato come, anche quest’anno, saranno superati i 200 miliardi di debito pubblico, la metà dei quali saranno destinati ad un fondo speciale per aumentare la spesa per la difesa.
Invertendo una tendenza che durava dal dopoguerra per cui il governo centrale tedesco aveva ridotto le spese per i propri armamenti, verrà richiesta un’altra modifica alla costituzione e creato un fondo speciale di 100 miliardi di euro, per aumentare così le risorse destinate alla difesa e per rispettare in un futuro prossimo l’obiettivo Nato di una spesa militare che sia il 2% del Pil e che oggi invece arriva all’1,5%.
Questa riforma, a cui ne seguiranno sicuramente tante altre così come promesso dal nuovo governo, è stata indotta dalla situazione di emergenza creata dalla guerra in Ucraina e dalla dipendenza tedesca delle forniture di gas fornite dalla Russia. Un atteggiamento nuovo della Germania che, con le parole del ministro delle Finanze Christian Lindner, ha voluto tendere una mano all’Italia rispetto alla situazione del debito pubblico nel nostro Paese, non criticando e chiedendo di “tenere in ordine i propri conti” come hanno fatto alcuni ministri economici dell’Eurozona, in primis Austria e Paesi Bassi, ma smorzando i toni, affermando che l’unione monetaria è forte e che solo con questa unità si potrà dare fiducia ai Mercati.
In questo nuovo atteggiamento più conciliante della Germania nei nostri confronti, qualcuno, a torto, ha voluto scorgere una sorta di generosità, la stessa utilizzata nei suoi confronti con l’accordo di Londra del 1953.
Ricordo però che il London Debt Agreement (LDA), con cui gli Stati vincitori della Seconda Guerra Mondiale cancellarono parzialmente il debito estero tedesco, non fu firmato dall’Italia, che lo fece solo nel 1966 e che si era impegnata con gli alleati, negli accordi di Parigi del ‘45, a non chiedere riparazioni alla Germania.
Storia del debito pubblico italiano
Se vogliamo riassumere l’origine del debito pubblico italiano in due parole, possiamo dire che è comparso la prima volta quando è nato nel 1861 il Regno d’Italia.
Anzi possiamo affermare, senza forma di smentita, che l’Italia è stata da sempre il paese del debito pubblico o meglio ancora è l’unico paese al mondo ad aver avuto un debito superiore al 60% del Pil per più di 110 anni.
Nel corso della sua storia l’Italia ha avuto dei picchi, la maggior parte degli economisti ne indica 4, di cui tre è riuscita a superarli nel giro di pochi anni, dall’ultimo invece non è mai riuscita ad affrancarsi.
La storia del debito pubblico comincia con l’unificazione politica del 1861, in cui una delle prime leggi fu l’istituzione del Gran Libro del debito pubblico in cui furono fatti confluire i debiti degli stati preunitari. L’emanazione di questa legge si rese necessaria per rendere più saldo il processo di unità nazionale e per avere un credito maggiore presso le altre Nazioni. Di questi debiti pregressi, più della metà, oltre il 57%, proveniva dal Regno di Sardegna, il quasi 30% da quello delle Due Sicilie e la restante percentuale dagli altri Stati.
Se già nei primi anni di vita del neo Regno il rapporto debito/PIL era aumentato, era dovuto alla costruzione di infrastrutture pubbliche e, soprattutto, alla guerra austro-prussiana del 1866. Il primo vero picco avvenne solo nel 1897, quando ci fu la crisi economica di fine Ottocento, ossia quando il debito raggiunse il 117% del Pil nonostante un saldo primario positivo. Un secondo aumento si registrò poi nel 1920 quando arrivò al massimo storico del 160% e solo con il condono dei debiti di guerra, grazie all’azione mediatrice del ministro delle finanze Giuseppe Volpi, oltre che ad una rilevante caduta del debito interno, fu possibile arginare questa crisi.
Il terzo aumento invece è contestuale alla crisi del 1929 e alla Grande Depressione, per poi scendere nel 1934 all’88% del PIL e risalire, dopo una fase di decrescita nella seconda metà degli anni Trenta, e a toccare un nuovo picco nel 1943, dove raggiunge il 108%, con l’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale.
Solo un’inflazione spaventosa lo ridurrà al 40% nel 1946.
Dopo il periodo di boom economico che durerà per tutti gli anni Sessanta e che porterà il rapporto debito/PIL al 33%, gli anni Settanta furono caratterizzati da periodi di recessione, ricordiamo le crisi petrolifere del 1973 e da un’inflazione molto alta, alimentata anche dalla Banca d’Italia che emetteva moneta per acquistare i titoli di stato non collocati sul mercato e che limitò il peso del debito sul PIL.
Gli anni ‘80 furono contraddistinti dall’aumento dell’inflazione, della spesa pubblica e del divorzio tra Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia, per cui quest’ultima non fu più obbligata a pagare il debito attraverso l’emissione di moneta, acquistando i titoli di stato rimasti invenduti all’asta.
Un nuovo picco venne raggiunto nei primi anni ‘90 con l’indebitamento pubblico al 121,8% del PIL mentre le altre potenze europee come Francia, Germania e Regno Unito rimanevano su dati molto più bassi.
Da quel momento il debito pubblico divenne il tema centrale della politica italiana in quanto il suo controllo era necessario per entrare nell’Euro e per rispettare i parametri di Maastricht per cui il rapporto debito/PIL doveva scendere sotto il 60%. Da allora tutte le misure di politica economica concordate dai vari governi, che si sono succeduti nel tempo, sono sempre state indirizzate al raggiungimento di una soglia, quasi mai toccata negli ultimi 30 anni, che permettesse di riportare il valore del debito pubblico al di sotto del confine del 100%.
Siamo nel 2022 e il debito pubblico stimato a giugno è di 2.766 miliardi, in aumento del 2,6% rispetto al 2021 e raggiungendo così un nuovo record. Per dicembre è prevista una diminuzione tra 2.699 e 2.732 miliardi, mentre il rapporto con il PIL si è assestato a fine anno scorso al 150,4%, in diminuzione rispetto al 2020 ma sempre di gran lunga al di sopra del 100%.